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"Daniela Muti nella sua opera in versi, "La bellezza del nero", spinge il fascino concettuale delle parole fino al punto più cavernoso e oscuro della psiche dell'animo umano: è un continuo rilancio ambizioso verso l'inseguimento delle radici delle elaborazioni dei lutti, delle separazioni dalle cose. La sofferenza, il male dell'esistere si afferma in modo assolutamente oggettivo che vibra nella restituzione poetica in una forma necessariamente percettibile e meravigliosamente universale tanto da farci sentire nello stesso sangue, nella stessa materia di chi scrive. Ci si eguaglia nel riconoscersi nelle umanità antropologiche e il punto di vista dell'io si proietta in un plurale ribaltato e cosmologicamente consapevole tanto da ritrovarsi nel tu rispecchiato e contrapposto alla verità di tutte le vite altre. È il gioco delle parvenze e delle direzioni espressive che partono dal profondo della coscienza per arrivare allo strato più sublime dell'io poetico. La Muti legge il destino del tetto sul mondo e non vacilla quando il buio della notte viene avanti sulle pure, chiare intenzioni ancora nascenti. Le vede invecchiare, maturare, morire all'istante: è il corso del tempo che fugge e sfugge all'estasi della parola e al tormento di un cuore che scruta anche ciò che non esiste più. Il silenzio non è mai tale il buio / non è mai tale (G. Leopardi): la poetica della Muti non è fatta per confortare il genere umano o per insegnare a dominare il senso del dolore."